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Separazione: non rispettare gli orari di visita ai figli non è reato

Separazione: non rispettare gli orari di visita ai figli non è reato

Non integra il reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice, il comportamento del padre non convivente che interpreti con elasticità gli orari di visita dei figli minori, in regime di affidamento congiunto, stabiliti in sede di separazione consensuale. Tale atteggiamento viola solo le regole della "buona prassi", e non appare penalmente sanzionabile.
Lo ha stabilito il Tribunale di Ascoli Piceno, sezione penale, nella sentenza n. 641/2016 (qui sotto allegata). L'imputato, padre dei due bambini, conviventi con la madre, per i quali era stato disposto l'affidamento condiviso, era stato accusato di aver eluso il provvedimento emesso dal Tribunale relativamente alla separazione, non rispettando reiteratamente i tempi e modi di frequentazione previsti e omettendo di riconsegnare i piccoli alla madre nei tempi e modalità previsti.
 
Gli accordi di separazione consensuale omologati, evidenzia il giudice, prevedevano, tra l'altro, la facoltà per il padre di tenere i figli a settimane alterne sulla scorta di un calendario ovvero, al di là del calendario già concordato fra le parti, previo accordo tra i coniugi e tenuto conto delle esigenze scolastiche dei minori. Inoltre, si precisava che, ove il padre avesse voluto tenere con sé i figli anche dopo le ore 21.00 era suo dovere accompagnare i minori a scuola l'indomani mattina.
Sarebbero due gli episodi violativi denunciati ed emersi in sede dibattimentale a seguito dell'esame della persona offesa. Una prima volta, il padre avrebbe dovuto riaccompagnare i bambini a casa alle 21:00 ma questi, invece, venivano trattenuti presso la sua abitazione oltre l'orario per vedere una partita di calcio. La donna, chiedeva l'intervento di una pattuglia dei Carabinieri che, entrati nell'abitazione constatavano che i bambini erano tranquilli a guardare la TV. Per questo acconsentiva, infine, a lasciare che i bambini trascorressero la notte con il padre. 
Quanto al secondo episodio denunciato, il padre, come riferito dalla madre, pur dovendo tenere con sé i bambini dalle 18.30 alle 21.00, si era presentato in anticipo, alle 17.00 per l'esattezza, all'uscita di scuola e, nonostante l'opposizione verbale della madre, aveva comunque portato via il figlio minore. 
L'imputato nel corso del suo esame non ha negato quanto dichiarato dalla persona offesa, tuttavia, lo stesso ha riferito che, riguardo al primo dei fatti accaduti, quella sera aveva avvisato la ex moglie che avrebbero fatto tardi in quanto alla tv c'era una partita di calcio e i bambini l'avrebbero guardata con il padre. Quanto al secondo episodio, lo stesso riferiva di aver avvisato la madre dei suoi figli che sarebbe andato lui stesso a prendere i bambini all'uscita dalla scuola, anziché attendere. 
Fatte queste necessarie premesse, il giudice ritiene che l'imputato debba essere mandato assolto dall'accusa di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice (art. 388 comma 2 c.p.), così come prospettato. Infatti, evidenzia il Tribunale richiamandosi a diffusa giurisprudenza, ai fini dell'integrazione del reato di cui si discute, non è reputata sufficiente la mera inottemperanza o un semplice rifiuto di eseguire il provvedimento giudiziale, ma occorre un comportamento, commissivo o omissivo, diretto a frustrare o a impedire il risultato concreto cui tende il comando giudiziale.

Senz'altro, il comportamento del padre, per come emerso a dibattimento, denota una certa elasticità nei rapporti con la ex coniuge riguardo all'esercizio dei diritti di visita che pure gli competono, in quanto genitore affidatario dei minori. Tuttavia, tali comportamenti non sono da considerarsi "elusione" del provvedimento del giudice, punibile ex art. 388 c.p., ma mera violazione di "regole di buona prassi", non penalmente sanzionabile.
 
Tuttavia, soggiunge il Tribunale, le condotta può avere conseguenze civilistiche, ben potendo il genitore affidatario richiedere modifiche del provvedimento, qualora provi che l'iniziativa dell'altro genitore affidatario sia pregiudizievole per il minore.
 


Fonte: (www.StudioCataldi.it) 

Blocco del conto corrente: l’Agenzia Entrate provvede senza preavviso

 

Come Agenzia Entrate Riscossione pignora il conto corrente

La procedura del «pignoramento presso terzi» in caso di riscossione esattoriale segue regole diverse rispetto a quelle previste dal codice di procedura civile per i soggetti privati. Tutto si svolge senza un giudice e senza passare da un’udienza in tribunale. Le fasi del pignoramento sono le seguenti:

  • l’esattore – ossia Agenzia Entrate Riscossione – notifica al debitore e alla sua banca l’atto di pignoramento. Questa comunicazione deve avvenire non prima di 60 giorni dalla notifica della cartella, ma non oltre 1 anno (o 180 giorni nel caso di precedente notifica di una intimazione di pagamento); fuori da questi termini il pignoramento è nullo;
  • con l’atto di pignoramento il conto corrente viene bloccato per 60 giorni durante i quali la banca non può consentire al correntista di prelevare o stornare le somme pignorate;
  • se decorrono i 60 giorni senza che il contribuente abbia pagato il debito, la banca trasferisce i soldi sul conto corrente di Agenzia Entrate Riscossione.

In questi 60 giorni il contribuente può sbloccare il conto corrente pignorato optando per una delle tre seguenti soluzioni:

  • pagare integralmente il debito ossia le somme intimategli da Agenzia Entrate Riscossione;
  • chiedere la rateazione del debito: in tal caso il conto viene sbloccato solo alla dimostrazione del pagamento della prima rata;
  • proporre opposizione all’esecuzione e sperare che, alla prima udienza, il giudice sospenda l’esecuzione forzata (il che però lo farà solo in presenza di valide e gravi ragioni su cui è fondata l’opposizione stessa).
È possibile bloccare il conto corrente senza un preavviso ?

Le regole sul pignoramento del conto corrente non sono cambiate da quando la riscossione esattoriale è passata dalle mani di Equitalia a quelle di Agenzia Entrate Riscossione. Il che significa che, come in passato, il fisco può bloccare il conto corrente senza preavviso. L’unico preavviso – che dovrebbe mettere in allarme il contribuente – è la notifica della cartella di pagamento che, tuttavia, può essere effettuata sino a un anno prima dall’arrivo del pignoramento. Se, invece, al posto della cartella di pagamento, il fisco ha spedito una intimazione di pagamento (una sorta di sollecito che richiama, nel dettaglio, le cartelle già notificate prima) il termine entro cui eseguire il pignoramento è di 180 giorni. Entro tale (ampia) forbice temporale – che parte da quando il debitore riceve la cartella o l’intimazione – ogni momento è buono per subire non solo il pignoramento del conto corrente, ma anche quello dello stipendio, della pensione, della casa. Nulla tuttavia gli garantisce se e quando, con precisione, avverrà l’esecuzione forzata.

 
Il contribuente sa del blocco solo quando va a prelevare i soldi

A ciò si aggiunge un’altra particolarità che la legge non ha voluto precisare. La norma che impone ad Agenzia Entrate Riscossione di notificare il pignoramento del conto corrente tanto al debitore quanto alla banca non dice a chi dei due debba essere prima inviato. Tuttavia è solo dalla notifica all’istituto di credito che scatta l’effettivo blocco, ricevendo quest’ultimo l’ordine di non consentire alcun prelievo delle somme pignorate. Ora, se le due lettere possono partire nello stesso giorno, nulla toglie che invece vengano spedite in momenti diversi e a sapere del pignoramento sia prima la banca e solo dopo il correntista. Peraltro non c’è bisogno che la banca verifichi l’avvenuta comunicazione al debitore dell’atto di pignoramento perché il conto venga bloccato.

La conseguenza, a questo punto, risulterà lampante agli occhi di tutti: il contribuente che si recherà allo sportello della banca potrebbe sapere solo dall’impiegato che il suo conto è stato pignorato, non avendo ancora ricevuto la relativa notifica. Può sembrare una situazione kafkiana ma è la norma e, ad ammetterlo è stato il viceministro dell’Economia che, rispondendo a una interrogazione parlamentare, ha ammesso che la legge consente all’esattore di bloccare il conto corrente del contribuente prima ancora che questi lo sappia, notificando l’atto di pignoramento prima alla banca e solo in un momento successivo al diretto interessato. Con la conseguenza che, anziché venire a conoscenza del blocco con i normali metodi (ufficiale giudiziario, messo comunale o postino), il correntista potrebbe scoprirlo al momento in cui si reca al bancomat o allo sportello della propria banca per prelevare e, in quell’occasione, gli venga comunicata la decisione.

Insomma, mai come in questo caso il blocco del conto corrente cade come un fulmine a ciel sereno, magari proprio quando il padre di famiglia è andato a prelevare i soldi per pagare la retta scolastica dei figli, per fare la spesa della settimana. Non è ammessa alcuna eccezione neanche nei casi di particolare urgenza come, ad esempio, quelli in cui si debbano acquistare delle medicine o dei farmaci salvavita. E se poi, prima della notifica del pignoramento, è stato emesso (nella perfetta incoscienza dell’imminente “catastrofe”) un assegno, questo non potrà essere pagato e andrà protestato: il debitore risponderà quindi anche delle sanzioni irrorategli dalla Prefettura. Insomma, debiti su debiti, come spesso succede in queste situazioni. 

Il modo più semplice, rapido e indolore per sbloccare il conto corrente è chiedere una rateazione e di dimostrare il pagamento della prima rata, cosa che però non tutti potrebbero essere in grado di fare proprio per l’intervenuta indisponibilità dei risparmi.

L’eccezione per dipendenti e pensionati

A questa disciplina la legge ha posto parziale rimedio solo in favore di pensionati e lavoratori dipendenti. Per questi ultimi il pignoramento del conto corrente che serve da appoggio per il versamento dello stipendio o della pensione non può mai essere integrale ma riguarda le somme eventualmente eccedenti il triplo dell’assegno sociale, ossia 1.345,56 euro. Quindi se sul conto c’è un deposito inferiore a tale somma esso non potrà essere toccato e il papà potrà prendere i soldi per andare al supermercato; se invece nel conto c’è una somma superiore, Agenzia Entrate Riscossione può bloccare solo la parte che eccede detto limite. Ad esempio, se il saldo del conto è di 10mila euro, il fisco può bloccare 10.000-1345,56 euro, ossia 8.654,44 euro.

Invece per tutti gli altri conti correnti, come ad esempio quelli di lavoro autonomo, di professionisti o anche di dipendenti su cui però confluiscono altri guadagni (ad esempio canoni di affitto) il pignoramento può essere integrale.

 

 

Cassazione: gli sms extraconiugali portano alla separazione con addebito

Cassazione: gli sms extraconiugali portano alla separazione con addebito

I messaggi sono costati cari a un marito di Milano, che dovrà versare duemila euro al mese di mantenimento allʼex e tremila euro per i tre figli

L'amante costa cara a un milanese. Gli sms "extraconiugali" sono stati, infatti, ritenuti sufficienti a suffragare la richiesta di separazione con addebito a carico del marito che è venuto meno al dovere di fedeltà. A sentenziarlo la Cassazione, che ha confermato la decisione della Corte di Appello di Milano sulla separazione di una coppia bene del capoluogo lombardo. Nella sentenza 5510 ha così giustificato "l'addebito per la violazione dell'obbligo di fedeltà, in ragione della scoperta, nel novembre 2007, di messaggi amorosi pervenuti sul cellulare" del marito e scoperti dalla moglie. A lei andranno duemila euro al mese, ai figli tremila.

Senza successo, il marito fedifrago ha cercato di sostenere che il matrimonio era traballante già da anni e che la scoperta della sua relazione extraconiugale aveva solo "aggravato una crisi coniugale presente da tempo". La Cassazione gli ha obiettato che nella coppia c'era già stata una "riconciliazione" nel 2002, anno della nascita dell'ultima figlia, e che a far venire meno la ritrovata "unità" era stata proprio la "scoperta dell'infedeltà" appresa nel 2007 dalla moglie che, per caso o deliberatamente, aveva deciso di dare un'occhiatina al cellulare di Enrico.

Ora l'ex marito deve versarle duemila euro al mese di mantenimento, e tremila euro al mese per il mantenimento dei tre figli, oltre al pagamento totale delle spese straordinarie concordate tra le parti. Per la conflittualità dei due genitori, i due figli ancora minori sono stati affidati al Comune di Milano con collocamento presso la madre.

fonte: tgcom24 - http://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/lombardia/cassazione-gli-sms-extraconiugali-portano-alla-separazione-con-addebito_3060273-201702a.shtml

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